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Crolla o non crolla?

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Si poteva prevedere il terremoto dell'Aquila? Un esimio professore interviene, spiega per benino le cose. Ma...

Per quanto possa starci antipatico Bertolaso, per quanto tutta l'operazione-terremoto possa esserci odiosa, su una cosa non ce le siamo mai sentita di dare addosso alla Protezione Civile: la pretesa di alcuni che si dovesse evacuare la città e i paesi sulla base dei mini eventi sismici registrati nei giorni precedenti quella tragica notte. E questo perché ci è ben chiaro come la scienza, e la scienza della terra in particolare, si muova su basi probabilistiche, mente cacciare di casa migliaia di persone è una decisione con conseguenze certe sulla vita dei cittadini.

L'incertezza dei risultati scientifici, che  sono soltanto probabilità, è sempre una ragione di angosce e ripensamenti: pensiamo solo al grande dilemma dei cambiamenti climatici, o alla terribile questione della cancerogenicità di molte sostanze che ingurgitiamo o respiriamo ogni giorno. Ma su Scienza in rete, il professor Giuseppe Grandori, professore emerito al Politecnico di Milano, spiega con grande chiarezza e autorevolezza come stanno le cose quando si calcola la probabilità di un evento sismico importante basandosi sullo sciame di tanti piccoli eventi. E calcola che, stante ciò che era accaduto in Abruzzo nei giorni precedenti la tragedia, la probabilità che questa si verificasse era circa del 2 per cento.

Il Due per cento! Un'enormità. Ma abbastanza per mandare migliaia di persone fuori di casa? Lo stesso Grandori, che se ne intende parecchio, dice che non avrebbe saputo che fare e aggiunge che in questi casi bisogna cercare delle soluzioni condivise, con la popolazione e le autorità locali.

L'idea che possano esistere soluzioni condivise non sfiora neanche la mente di Bertolaso, e, dobbiamo essere onesti, nei giorni del post-terremoto abbiamo apprezzato la rapidità degli interventi d'emergenza così agita proprio perché l'uomo è un condottiero senza dubbi. Ma mi pare che si debbano fare altre considerazioni.

Francamente non so quanto sia possibile, nell'immediatezza del verificarsi del rischio andare in cerca di soluzioni tanto condivise a tutti i livelli. Ce lo immaginiamo? Geologi e ingegneri in giro per le valli abruzzesi, a parlare con sindaci e cittadini, a spiegare cosa è la probabilità, a dire c'erano due probabilità su cento che la casa cascasse loro sulla testa. E a chiedere a loro lumi sul da farsi. No, non funziona.

Bisogna che la comunità scientifica e le istituzioni preposte (la Protezione Civile e l'Istituto Nazionale di Geofisica) si prendano le loro responsabilità. Ci sono cose troppo complesse perché si getti la croce addosso ai sindaci di paese o ai poveri abruzzesi stessi. Chiedere  soluzioni condivise, in certe situazioni, si trasforma nello scaricare un barile di angoscia sulla testa di chi non ha gli strumenti per decidere. Meglio informare chiaramente, spiegando per benino come stanno le cose. E decidere. Magari si rischia di evacuare inutilmente, o ci si getta nelle braccia di una tragedia.

La Natura non fa sconti: dobbiamo rassegnarci alla sua imponderabilità. La comunità scientifica spalanchi le braccia e lo spieghi ai cittadini. Anche nell'imminenza di una possibile tragedia. È l'unico modo per creare un'opinione pubblica matura, che non si fa raccontare frottole dai legionari ridens dei miliardari ridens. Ma entra nel meraviglioso quanto drammatico mondo della probabilità. E impara a comprendere, anche se a maledire, il rischio.


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